Luce e spazio inseparabili

È sempre sbalorditivo constatare come le intuizioni dirette sulla natura della realtà — sviluppate da un giovane e coraggioso ricercatore della verità 25 secoli fa nel laboratorio della propria mente — vengano sempre più spesso confermate oggigiorno dalle ‘miracolose’ scoperte dei moderni santuari della scienza contemporanea.

È di qualche settimana fa l’ennesima prova di quanto lo spazio nel quale siamo immersi non sia da considerare come un vuoto siderale in cui nulla appare, ma bensì come un vivido contenitore, in grado di collegare ogni cosa e pregno del potenziale di ogni esperienza.

Un concetto affascinante, che espande la nostra abituale visione dualistica della realtà e che il Buddha espresse così efficacemente con la formula: la forma è vacuità, la vacuità è forma; forma e vacuità inseparabili è la natura di ogni fenomeno.

Di seguito un estratto dell’articolo pubblicato dalla rivista online Galileo a commento della scoperta pubblicata dalla pubblicazione scientifica Nature.


Una delle caratteristiche più particolari della meccanica quantistica è che secondo questa teoria il vuoto non sia realmente tale. Secondo la fisica moderna, infatti, in realtà questa condizione è piena di corpuscoli che appaiono e scompaiono molto velocemente, tanto da essere definiti “particelle virtuali”. Fino a oggi della loro esistenza si avevano solo prove indirette, derivanti dagli effetti che talvolta hanno su elettroni o atomi con i quali possono interagire. Grazie a un team di ricercatori della Chalmers University of Technology di Göteborg oggi invece abbiamo prove più dirette di questo “ribollire” di materia nel vuoto. In uno studio pubblicato su Nature, i fisici svedesi sono infatti riusciti a far uscire alcuni di questi fotoni dalla loro condizione di virtualità, facendoli diventare reali. Ovvero, trasformandoli in luce.

Il primo ad aver teorizzato la possibilità di estrarre particelle virtuali dal vuoto fu il fisico Gerald Moore, che nel 1970 ebbe un’intuizione particolare. Secondo lo scienziato, se i corpuscoli avessero colpito uno specchio dal moto oscillatorio abbastanza rapido – ovvero con una velocità vicina, o almeno paragonabile, a quella della luce – la materia avrebbe potuto usare l’energia (cinetica) dissipata nel movimento per uscire dalla condizione di fluttuazione tra esistente e non esistente, diventando finalmente misurabile. Questo processo si chiama effetto Casimir dinamico e il suo problema sperimentale è che portare uno specchio a oscillare avanti e indietro con una velocità prossima a quella della luce è molto complicato.

Per superare questa difficoltà, gli scienziati di Göteborg hanno messo a punto un metodo ingegnoso. “Poiché non potevamo pensare di portare uno specchio a muoversi con così tanta rapidità, abbiamo pensato di riprodurre la condizione necessaria all’esperimento in un altro modo”, ha spiegato Per Delsing, docente di fisica sperimentale alla Chalmers che ha preso parte alla ricerca. “Invece di alterare la posizione fisica di uno specchio, abbiamo riprodotto lo spostamento tramite la variazione del campo elettromagnetico in un cortocircuito, un circuito chiuso che ha resistenza nulla e che si comporta come uno specchio, ma solo per le microonde”.

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I ricercatori sono così riusciti a far “muovere lo specchio” a una velocità molto alta, circa un quarto della velocità della luce. “Il risultato – ha continuato Delsing – è stato che dei fotoni sono effettivamente comparsi dal nulla, o meglio dal vuoto. La radiazione emessa sotto forma di microonde da queste particelle era misurabile, e quindi abbiamo potuto verificare che avesse tutte le proprietà predette dalla meccanica quantistica”.

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Un risultato in accordo con le previsioni della meccanica quantistica, dunque, ma possibile solo perché i fotoni non hanno massa. “È per questo motivo che basta poca energia per tirare fuori le particelle dalla loro condizione di virtualità. In linea di principio si potrebbe ricreare qualsiasi particella a partire dal vuoto, anche elettroni o protoni, solo che questo procedimento necessiterebbe di una quantità di energia molto maggiore”, ha concluso Delsing.

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