Siamo tutti d’accordo sul fatto che vorremmo porre fine alla sofferenza e che ognuno di noi ha debolezze e responsabilità riferibili unicamente alle proprie circostanze di vita. Nonostante questo c’è qualcosa di buono nell’essenza di ognuno di noi: tutti noi possediamo la natura della mente di buddha. Dobbiamo però rimuovere dei veli così che la nostra vera natura di buddha si possa rivelare. La realtà che sperimentiamo genera inevitabilmente sofferenza ed è quindi necessario diventare consapevoli e comprendere la nostra situazione in modo poi da poter applicare il rimedio migliore per le nostre malattie.
Innanzi tutto è necessario diventare consapevoli di come e di chi siamo veramente, solo allora potremo riuscire a trovare un modo per riconoscere la nostra vera natura, che non è né superficiale né emozionale. Per questo motivo dovremmo mettere in pratica quanto segue: riconoscere la nostra situazione, modificare i nostri comportamenti in modo da far diminuire la sofferenza e purificare le nostre menti accrescendo in questo modo la nostra consapevolezza della vera natura della mente.
Sia che abbiamo intrapreso o meno un percorso spirituale, dobbiamo comunque vivere le nostre vite. Anche se le situazioni all’esterno possono rimanere invariate, possiamo iniziare a modificare le nostre reazioni rispetto ad essa. Essendo noi al momento fortemente condizionati dalle nostre abitudini, qualsiasi tentativo di modificare rapidamente il nostro comportamento abituale molto probabilmente è destinato a fallire. I cambiamenti possono avvenire solo lentamente, a poco a poco. Cercando di modificare le nostre abitudini ora e in modo graduale, anche la nostra percezione del mondo muterà. Difficilmente avvengono grandi cambiamenti., di solito avvengono piccoli cambiamenti giorno dopo giorno, che generalmente però passano inosservati, per cui pazienza e perseveranza sono importanti se vogliamo raggiungere la meta.
Attualmente le nostre menti sono confuse e invariabilmente sviluppiamo stress e frustrazione ogni giorno. Dovremmo cercare di minimizzare lo stress in ogni aspetto della nostra vita. Siamo individui diversi gli uni dagli altri e quindi nella pratica ci saranno risultati differenti per ognuno di noi.
La nostra meta è l’illuminazione, la mente risvegliata o bodhicitta. Se pensiamo al raggiungimento della perfetta bodhicitta mostrata al livello dei grandi bodhisattva, questa ci può apparire quasi irraggiungibile, troppo lontana dalla nostra situazione attuale e potremmo scoraggiarci. Nonostante ciò dobbiamo iniziare facendo il primo passo ora.
La bodhicitta è la totale apertura verso ciò che non è noi stessi. Dobbiamo accettare che le cose non sono come noi vorremmo che fossero. Questa accettazione porterà a una diminuzione dello stress e a una maggiore comprensione. A sua volta una mente più chiara faciliterà una visione più profonda della mente, e questo processo si svilupperà in modo continuo.
Nella bodhicitta dell’applicazione dovremmo adottare l’equanimità. Ora non facciamo altro che sviluppare speranza e paura, e questi veli contaminano le nostre azioni. Da una parte avremo paura del fallimento, mentre dall’altra svilupperemo desiderio:
“Il successo è mio.”
“La meta è la mia.”
“Ho fallito.”
Tendiamo a dispiegare le nostre speranze ovunque e questo vela la vera natura delle cose e vizia la nostra visione del mondo. Di conseguenza non potremo che perderci cercando di orientarci o adattarci correttamente alle nostre vite. Equanimità significa vedere le cose come sono realmente. Innanzi tutto dobbiamo vedere le cose chiaramente, poi potremo adattare le nostre azioni in modo appropriato, senza essere eccessivamente emotivi. Per riuscire a raggiungere l’equanimità abbiamo bisogno di un allenamento mentale per sviluppare delle buone abitudini. Sia se valutiamo le cose come positive o negative, utili o noiose, dobbiamo esaminare la situazione così come è realmente. La bodhicitta, l’allenamento mentale, l’equanimità e la chiarezza mentale sono tutti aspetti collegati. Il progresso e lo sviluppo quialsiasi di queste qualità avrà effetti positivi anche sulle altre.
Ogni qualvolta agiamo, lo facciamo generalmente in risposta ad un bisogno personale, altrimenti i nostri sforzi non durerebbero a lungo e la cosa non funzionerebbe. Allo stesso modo, per porre fine alla sofferenza abbiamo bisogno che nasca un senso di urgenza. La sofferenza nasce dal nostro ambiente e da quello degli altri. Per esempio, quando siamo al lavoro le persone generano delle situazioni spiacevoli che potrebbero essere migliorate e una possibilità di cambiamento è osservare le relazioni che abbiamo con le altre persone. Spesso se c’è un conflitto dovremmo riflettere in questo modo:”Il veleno è la mia preoccupazione egotistica. Il conflitto si crea perché le persone non agiscono come io vorrei. Ma il mio modo di vedere è oggettivamente corretto?”
L’errore è il nostro rifiuto di prendere in considerazione gli altri o di “condividere la torta”. Nella nostra relazione con le altre persone dovremmo sempre mettere loro al primo posto, non dovremmo considerarle degli ostacoli. Dovremmo accettare il fatto che anche gli altri hanno delle aspirazioni, hanno le stesse aspirazioni che abbiamo noi, solo da una prospettiva differente. Comprendere il loro punto di vista renderebbe le interazioni molto più semplici, più aperte e meno conflittuali. Le disfunzioni sono dovute generalmente ad atteggiamenti negativi. L’altruismo è preoccuparsi del benessere degli altri.
Generalmente ogni volta non vediamo risultati dai nostri sforzi, immediatamente li abbandoniamo come negativi, ma questo è un errore. Forse sono solo le nostre aspettative ad essere troppo elevate. È importante osservare il nostro ego al lavoro. Dovremmo invece essere pazienti e modesti nelle nostre aspettative.
A volte accade che decidiamo di aspettare la situazione ideale prima di agire, col risultato che non agiamo mai. L’idea di fare la cosa giusta è di per sé buona, ma difettiamo nell’applicazione. I piccoli atti sono sempre il miglior punto di partenza. Prendiamo un qualsiasi evento della giornata che è andato storto e analizziamo cosa è accaduto. Riconosciamo le nostre reazioni prima di qualsiasi altra azione. Potremmo accorgerci che spesso le ragioni delle nostre reazioni sono “Non mi piace!” o “Sono fatto così!” ma non ci chiediamo mai “Perché sono fatto così?” oppure “Perché dico sempre non voglio?”. Sono proprio queste tendenze che creano avversione. Sono tendenze create da noi stessi e le portiamo all’interno di tutte le relazioni. Chiedetevi perché. È questo il punto in cui potete fare grandi cambiamenti. Da soli non funziona, si ha bisogno degli altri per averne l’opportunità.
L’essere soddisfatti è la chiave per l’apertura. L’avarizia è naturale in tutti noi:”Voglio che le cose siano così per me!”. Questo tipo di pensiero fa nascere frustrazione e il senso di soddisfazione non è mai presente. La soddisfazione non sta nel cercare sempre qualcosa di meglio o di più, ma nell’essere ragionevoli e nel porsi mete realistiche e possibili. La bodhicitta richiede che si sia capaci di guardare dal punto di vista degli altri e questo dovrebbe essere sempre il nostro interesse principale. Purtroppo noi non ci sforziamo di sviluppare un senso di soddisfazione e contentezza. Dovremmo esaminare cosa non ci piace in una certa situazione spiacevole. L’essere soddisfatti è uno stato in cui le cose sono giudicate soddisfacenti. È una questione di ragionevole equilibrio.
La bodhicitta che include la benevolenza spesso è assente nel nostro flusso mentale. La maggior parte delle situazioni sono fluide e noi dovremmo cercare di essere flessibili. Noi non siamo dei computer perciò profitto ed efficienza non dovrebbero essere la nostra unica preoccupazione. Dovremmo agire sulla base della benevolenza anche se non ci viene ancora spontaneo come comportamento al momento. Non possiamo limitarci a essere simpatici e carini solo con le persone che ci piacciono. Dobbiamo rimanere vigili per non rischiare di mollare la nostra attitudine dopo pochi tentativi poiché la benevolenza spontanea non dura a lungo. La legge di causa ed effetto funziona sempre e senza eccezioni e la benevolenza porta alla migliore soluzione dei conflitti. Sviluppate sempre la benevolenza quando fronteggiate l’avversione. Inoltre può essere pericoloso l’approcciare gli insegnamenti con un atteggiamento troppo intellettuale. La pace interiore non è misurabile con uno stetoscopio e i risultati di un’azione positiva, anche se certi, non sempre sono evidenti.
La benevolenza porta sempre a stati mentali positivi e il sentirsi grato è considerato uno stato positivo. Per esempio, se avete acquistato del riso e, una volta tornati a casa, lo cucinate per cena ricordatevi di pensare alle persone che lo hanno coltivato e siate grati. In questo modo la benevolenza aumenterà.
Grazie alla benevolenza creiamo riconoscimento e ogni volta che riconosciamo una interazione, un collegamento ci sentiremo meglio. L’opposto della benevolenza è la tensione. Contrariamente alla naturale tendenza della mente velata, che generalmente non è nemmeno consapevole dei pensieri, dovremmo cercare di capire se i nostri pensieri hanno senso. Se siamo più centrati e presenti allora è possibile una comprensione più profonda. Esaminate sempre il senso di ciò che state facendo, siate attenti e sviluppate consapevolezza. Una mente non distratta è presente in meditazione. Se la nostra mente è meno preoccupata saremo in grado di vedere meglio il momento presente. Lo stesso atteggiamento che abbiamo nella meditazione formale dovrebbe essere applicato ugualmente nella nostra attività quotidiana. Riflettete e continuate ad analizzare i vostri pensieri e le vostre azioni. Si svilupperà una maggiore comprensione degli insegnamenti. Di solito crediamo di aver capito tutto dopo aver sentito qualcosa la prima volta. La stessa cosa accade anche con le persone: crediamo di conoscerle pur avendole viste una sola volta.
Rimanete aperti e permettete sempre a nuove possibilità di svilupparsi invece che essere chiusi o troppo attaccati alla vostra visione. Per quanto riguarda la meditazione, l’oggetto dell’addestramento è quello di rendere possibile una mente più chiara. La mente è capace di trovare la sua chiarezza originale. La meditazione non consiste nell’aggiungere qualcosa o cambiare la natura della mente, ma nel rimuovere i veli che non le permettono di manifestarsi pienamente. Quando la mente è disturbata non è focalizzata, vaga o segue catene di pensieri. Con la meditazione possiamo riportarla nel “qui ed ora”. La stabilità della mente porterà ad una maggiore consapevolezza della mente stessa. Stabilità, chiarezza e lucidità sono qualità originali della mente.