I termini “mente” e “coscienza” sono spesso usati in maniera generica e non ben definita. Per essere più chiari però può essere utile soffermarsi sulle numerose definizioni della parola “coscienza” nell’uso scientifico corrente.
Coscienza come stato di veglia
Frequentemente si usa la parola “coscienza” come sinonimo dello stato in cui si è svegli. Qualcuno che è conscio è in grado normalmente di percepire, interagire, e comunicare con l’ambiente circostante. In questo senso, la coscienza è quantificabile a partire da uno stato profondamente inconscio (coma) fino a uno stato di elevatissima attenzione e presenza.
Coscienza come esperienza
Quando siamo svegli o consci, nel senso precedente, di solito siamo consci di qualcosa (un oggetto). In questo secondo significato, la “coscienza” descrive il contenuto di un’esprienza soggettiva di momento in momento: per esempio, ciò che si prova ora ad essere una particolare persona, paragonato al fatto che non si proverebbe proprio nulla ad essere un sasso. Qui ci interessano le dimensioni qualitative e soggettive della coscienza, ciò che i filosofi chiamano spesso qualia.
Le difficoltà nello spiegare i qualia spesso vengono indicate come il “problema arduo”. Per citare Jonathan Shear: “Nessuna spiegazione di fenomeni in termini puramente oggettivi in ‘terza persona’ potrebbe mai perfino suggerire, o tanto meno spiegare, le qualità soggettive di sensazioni, odori, pensieri e altri qualia che costituiscono la maggior parte della nostra vita cosciente”.
Coscienza come mente
Collegato al significato latino di conscientia, qualunque cosa che crediamo, temiamo, ci aspettiamo, ci prefiggiamo, ogni stato mentale con un contenuto propositivo si può dire che sia conscio. Per esempio, fin da stamattina sono conscio di voler meditare stasera, anche se non ci ho più pensato durante tutta la giornata. Qui “coscienza” è usata nel senso più ampio e quindi abbastanza non specifico.
Auto-coscienza come tendenza all’imbarazzo
Per esempio, quando ci sentiamo a disagio in compagnia di altri. È interessante notare che siamo particolarmente auto-coscienti in questo senso quando siamo consapevoli della consapevolezza altrui di noi stessi. Questo aspetto quindi fa risaltare una componente sociale della coscienza.
Auto-coscienza come auto-riconoscimento
L’abilità di riconoscere se stessi — cioè di avere una nozione o un concetto di se stessi. Nella psicologia dello sviluppo, questo concetto si aggancia alla capacità di riconoscere se stessi allo specchio. Vari studi dimostrano che la maggior parte dei bambini al di sopra dei diciotto mesi sa fare questo, così come gli scimpanzè e gli orangotango, ma nessuna altra scimmia. Comunque, mentre questi esperimenti possono identificare chiaramente che da una certa età o per una certa specie il processo di auto-riconoscimento avviene, non riescono a determinare i limiti inferiori dell’auto-riconoscimento: bambini o animali potrebbero avere auto-coscienza pur senza essere in grado di comprendere e utilizzare la funzione di uno specchio. In questo senso, questi studi sono forse più sensibili nel rilevare quando avviene la completa comprensione di uno specchio anziché nel determinare il punto critico di quando appare l’auto-coscienza.
Auto-coscienza come essere consapevoli della consapevolezza
Possiamo essere anche consci dei nostri stati mentali. Questi ci aiutano a spiegare il nostro stesso comportamento, i nostri desideri, immaginazioni, speranze, convinzioni e probabilmente sono questi gli aspetti che danno rendono piccanti molte nostre conversazioni.
Coscienza come stato illuso e confuso della mente
Qui aggiungiamo a tutte queste definizioni scientifiche la prospettiva buddhista. Forse sorprendentemente, qui il termine coscienza (nam she in tibetano) si usa spesso in riferimento agli stati mentali caratterizzati dall’illusione di una entità indipendente che percepisce (spesso chiamata il sé) e che appare essere consapevole di oggetti altrettanto indipendenti. Per esempio, nel testo Distinguere la coscienza dalla saggezza (Nam she yeshe in tibetano) il terzo Karmapa Rangjung Dorje spiega come operano gli stati confusi della mente – coscienza – e come lo stato liberato della mente – saggezza – può essere realizzato. In un commento a questo breve testo – uno dei testi fondamentali studiati nel lignaggio buddhista Karma Kagyu – Kunzig Shamar Rinpoche spiega: “La cognizione può funzionare in due modi diversi, a seconda che sia presente o assente la confusione. La cognizione confusa frammentaria è ciò che prevale nella mente degli esseri ordinari. La cognizione originale di un buddha è libera da confusione. Come un volto con due diverse espressioni, le due sono essenzialmente aspetti diversi della stessa cosa: la cognizione frammentaria è come un volto arrabbiato e imbronciato, mentre la cognizione originale è come un volto pacifico e sorridente. Come dimostra questo esempio, non si tratta di cambiare il volto di per sè, ma la sua espressione. Dissolvi la smorfia della confusione e il sorriso privo di confusione la sostituirà naturalmente”. (A change of expression, Shamar Rinpoche, (1992) Dzambala Ed.)
Come suggerisce questa breve (e probabilmente incompleta) lista , esistono molte definizioni del concetto di coscienza e prima di addentrarsi in qualche discussione sarebbe imperativo essere chiari (o consci) riguardo a quale aspetto o definizione si vuole considerare.
[estratto da The Mind, the Buddha and the Brain, Peter Malinowski in From buddhism to science and back, (2007) ITAS]