Domanda: caro Karmapa, qual è la pratica migliore per lavorare con la propria parola? Come si fa a farla diventare “parola di un Buddha”?
XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje: mi piace questa domanda: è così semplice e diretta.
Una risposta semplice è che ogni parola proveniente da un cuore amorevole (non in senso emotivo) sarebbe di ausilio nel rendere il linguaggio una “parola di un Buddha”.
Se qualcuno è un po’ agitato o disturbato emotivamente, allora la parola espressa può riflettere tali disturbi interiori e questo, a sua volta, potrebbe essere confuso con un cuore compassionevole. Un buon cuore non sorge da emozioni ma da una coscienza limpida. Quando la coscienza è limpida, il cuore è amorevole e ne conseguono parole e attività benefiche. Quando la coscienza è limpida, la parola assomiglia di più alla parola di un Buddha.
Ritengo che la ragione per cui la chiamiamo “parola di un Buddha” sia semplicemente perché non contiene alcun programma occulto e nessun obbiettivo recondito. Lo si vede chiaramente negli stessi sutra che abbiamo: proprio gli insegnamenti del Buddha e le parole ancora attuali del Buddha riflettono tutto ciò. È solamente pura generosità, genuina condivisione – la forma suprema di condivisione.
Secondo un detto popolare, condividere è amare. In questo caso, gli insegnamenti del Buddha ne sono l’esempio perfetto. La genuina condivisione del Buddha è un’espressione del suo amore illimitato.
Quindi quali sono le qualità della parola di un Buddha? L’aver perfezionato non solo la parola ma anche l’attività e il pensiero nel corso di molte epoche e durante moltissime vite; non avere la necessità di alcun programma specifico, perché si conoscono bene i difetti di qualunque tipo di programma; vedere le qualità positive di generosità e buon cuore; e poi, semplicemente, condividere la conoscenza.
Vorrei darvi un esempio. Penso che molti di voi abbiano familiarità con varie invocazioni di buon auspicio. Una che mi viene in mente ora è quella degli Auspici di Samantabhadra. È perfetta in ogni aspetto. Semplicemente non c’è nemmeno una frase – in effetti, nemmeno una parola o perfino una singola sillaba – che non sia parola di un Buddha. (A meno che, naturalmente, in qualche modo non sia stata interpretata o scritta non correttamente).
Ovviamente, anche tutti i sutra e tutti gli altri insegnamenti del Buddha sono esempi di parole di un Buddha. Sono perfetti perché non contengono alcun interesse egocentrico, alcuno schema o aspettativa di ricevere qualcosa in cambio. È un puro dare. È genuina condivisione.
Tornando alle caratteristiche della parola di un Buddha, una domanda importante da chiedersi è se ciò che diciamo rechi qualche giovamento ad altri. Parlare delle condizioni meteorologiche, per esempio, può non essere particolarmente utile (tranne che in certe circostanze). Se si tratta di un parlare benefico, se è utile, allora vale la pena di prenderlo in considerazione. Altrimenti sarebbe meglio lasciar perdere. È importante capire il contesto, dato che certi discorsi possono essere utili in certi casi e inutili in altri. È anche importante considerare quanto controllo esercitiamo sulla nostra parola, sui nostri pensieri e sulle nostre attività – quanta compostezza e sangue freddo abbiamo individualmente.
Ci sono occasioni in cui possiamo lasciarci coinvolgere in varie discussioni e ci possiamo impegnare su vari argomenti. Non importa se si tratta di parlare del tempo, di pittura, di cucina, di sport o di qualunque altra cosa – non importa, purché arrechi benefici.
Ma che cosa significa arrecare benefici con la parola? Da un punto di vista buddhista quando si usa il termine “beneficio” spesso si fa riferimento a due cose: beneficio in questa vita e nella prossima vita. Una parola benefica ci può aiutare a raggiungere la liberazione e poi a ottenere la “Samyakasambuddaya”, la buddhità.
Quindi ci si può anche lasciar coinvolgere in discorsi apparentemente futili, se aiutano qualcuno. Possiamo perfino fischiettare o canticchiare, purché questo produca qualche beneficio. Forse a qualcuno piace canticchiare – magari canticchiare è il suo hobby! Oppure è la sua passione, può essere la cosa che lo rende veramente appagato. Se un giorno non potesse canticchiare, per lui quella sarebbe una gran brutta giornata. Potrebbe non riuscire nemmeno a dormire, potrebbe avere incubi. Con persone del genere, potrebbe essere utile incoraggiarle canticchiando insieme a loro, ciò potrebbe aiutarle a raggiungere la liberazione e l’illuminazione! Canticchi un po’ e ti avvicini, poi canticchi un altro po’ e sei ancora più vicino, e poi ancora un po’ fino al punto in cui magari si può avere una conversazione! Decisamente è molto importante comprendere il contesto per capire che cosa potrebbe veramente essere di beneficio in una certa situazione.
S.S. XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje.